La parola chiosco deriva dal medio-persiano kusk, termine che significava letteralmente «angolo, cantuccio», ma che stava a indicare anche un gazebo o capanno da giardino.
Dal medio-persiano è passato al turco kjosk e poi al francese kiosque, all’italiano chiosco, allo spagnolo quiosco, all’inglese kiosk e al tedesco Kiosk, ed entrò nel- l’uso per indicare quelle strutture aperte tipo gazebo che si diffusero nei parchi europei, soprattutto inglesi, nel corso del XVIII secolo e poi, verso la fine del XIX secolo, anche nelle città. 
Il termine appare nel capriccio drammatico Il trionfo del sentimentalismo di Johann Wolfgang von Goethe (1777), in un elenco di elementi architettonici presenti all’interno di un parco. 
Nel 1894 il dizionario enciclopedico Brockhaus specificava alla voce Kiosk che si trattava di «costruzioni leggere realizzate in legno, ferro e vetro e installate lungo le strade delle metropoli per la vendita di giornali, bevande rinfrescanti, sigari et sim.».
Il chiosco si era ormai affermato e aveva conquistato la città.
La sua presenza cominciò a essere prevista anche nei piani urbanistici. 
Quando, nel 1855, l’ingegnere Ildefonso Cerdà elaborò il suo radicale progetto di ampliamento della città di Barcellona, che rielaborò nel 1859 e 1863, prevedette l’installazione di un chiosco per ciascuno dei duecento incroci tra gli isolati di pianta quadrata con angoli tagliati. 
Secondo il progetto, i rispettivi utilizzi dei chioschi ne avrebbero influenzato di volta in volta dimensioni e forme. Assieme alle isole spartitraffico a zoccolo su cui poggiavano, i chioschi erano concepiti come accoglienti punti nevralgici della vita pubblica.
A Parigi, il primo chiosco di giornali fu installato nel 1857 sul Grand Boulevard. In precedenza, i venditori di materiale a stampa disponevano soltanto di una sedia o di un capannino rudimentale. 
La piccola struttura in ghisa a pianta ottagonale, verniciata di verde scuro e sormontata dalla sua tipica cupola di ispirazione moresca fu progettata dall’architetto Gabriel Davioud, responsabile di numerose altre costruzioni realizzate nei grands travaux avviati sotto il prefetto Georges-Eugène Haussmann. 
Questi chioschi animavano la strada durante il giorno e la illuminavano di notte, per il diletto dei cittadini e delle autorità. Il loro nome, kiosque lumineux o pavillon- annonces, rimandava alla funzione pubblicitaria. 
Dopo soli due anni il modello di Davioud fu sostituito da uno nuovo, un po’ più spazioso: una elegante costruzione in rovere con vetrate generose, coronata da una cupola di zinco. Ebbe ampia diffusione nella Parigi del Secondo Impero, tanto che nel 1870 se ne contavano più di 300 esemplari. 
Intanto arrivarono anche i chioschi dei fiori, i chioschi delle bevande o del cibo da strada, i chioschi dei souvenir. 
Colonizzarono la città al punto che nel 1892 la «Association des Parisiens de Paris pour la défense des trottoirs» si oppose alla loro installazione come elemento di arredo urbano. 
Dapprincipio l’amministrazione parigina si limitò a ordinare che i chioschi venissero ruotati di novanta gradi, così che le porte non affacciassero direttamente sullo spazio antistante le abitazioni, dove la clientela in attesa bloccava la strada ai passanti. Poi, all’inizio del XX secolo, parecchi degli ormai più di 2000 chioschi furono rimossi. 
Nel 1934 arrivarono nuovi modelli di chiosco, di dimensioni maggiori e con una struttura in ferro cromato. Seguì, negli anni cinquanta, un esemplare futuristico in vetro e acciaio inossidabile, accolto con entusiasmo perché il suo carattere ultramoderno era giudicato in linea con la nuova era atomica. 
Nel 2007 la designer industriale Matali Crasset ha disegnato il prototipo di un chiosco di dimensioni più confortevoli, con un alloggiamento in vetro e alluminio laccato verde, decorazioni discrete e una copertura grigia zincata. Questo nuovo modello andrà gradualmente a sostituire i precedenti.
A Berlino, intorno al 1880, le cosiddette Trinkhallen, i gazebo in cui si vendevano acqua frizzante e altre bevande, iniziarono ad ampliare la loro offerta anche a giornali e riviste. 
Nel 1904 l’editore e libraio Hermann Stilke ottenne la gestione dei chioschi di giornali nella città. Ne affidò la progettazione a Alfred Grenander, architetto che aveva acquisito notorietà a Berlino con il design delle stazioni metropolitane. 
Grenander ideò una costruzione a pianta quadrata con intelaiatura in ferro, un basamento rivestito da mattonelle rosse iridescenti e un tetto combinato di forme e dimensioni stravaganti in lamiera di rame. All’interno c’era posto per un solo venditore e per una grande quantità di giornali e riviste, che venivano esposti anche all’esterno. Sotto il tetto era montata una fascia di lastre pubblicitarie che di notte si illuminavano: uno dei primi esempi di inclusione della pubblicità in un elemento architettonico.
Elemento pubblicitario era anche il chiosco stesso, disegnato in maniera così appariscente perché fosse ben visibile nello spazio urbano senza deturparlo. 
Il primo chiosco fu installato nel 1905 in Leipziger Platz e fu seguito da varianti a pianta circolare o poligonale, fornite di vistosi camini, bracci e fino a quattro orologi pubblici. 
La stampa contemporanea salutò l’arrivo di questa specie architettonica esotica come piacevole novità che animava la grigia quotidianità metropolitana. 
Quando, nel 1909, Stilke rilevò la Gesellschaft der Berliner Trinkhallen, fece sostituire i vecchi chioschi con nuovi modelli che offrivano una selezione di giornali e perfino un apparecchio telefonico. A firmarli fu l’architetto William Müller, allievo di Alfred Messer, l’autore dei famosi grandi magazzini Wertheim.

Dal 1924 i chioschi berlinesi furono gestiti non più dalla società di Stilke, ma dalle singole amministrazioni distrettuali. Di conseguenza, sia l’offerta sia l’aspetto dei chioschi si andarono differenziando. Alle tradizionali strutture in ferro si aggiunsero quelle in legno o in pietra, e oltre ai giornali venivano proposti in vendita biglietti per il teatro, tabacchi, souvenir e alimenti. 

Se già nel 1922 sul Kurfürstendamm erano stati costruiti due tempietti a pianta circolare con tetto a punta rivestito in ardesia, tra le cui otto colonne erano installate le vetrine dei giornali, le due costruzioni gemelle si ritrovarono ben presto a far parte di una serie di microarchitetture simili ma più leggere, che animavano lo sfarzoso boulevard berlinese. Particolarmente appariscenti erano la cassa del Teatro Reinhardt-Bühnen, con il suo tetto piatto aggettante composto da tre gradini rovesciati, e il padiglione informativo trasparente costruito da Paul Mahlberg, architetto e grafico specializzato nella progettazione di spazi espositivi.

Come simbolo della città a misura di auto che la Berlino del dopoguerra si preparava a diventare, tra il 1954 e il 1956 fu realizzato un chiosco particolare all’angolo tra il Kurfürstendamm e la Joachimsthaler Straße. Si trattava di una combinazione di edicola, cabina telefonica, ingresso alla stazione metropolitana e cabina di controllo del traffico stradale, il tutto completato con orologi sui lati; in questa costruzione stravagante, progettata da Werner Klenke e Werner Düttmann, una doppia colonna in cemento armato sostiene una cabina asimmetrica schermata in vetro, che a sua volta sormonta il tetto...

(da “FRAMMENTI URBANI - I piccoli oggetti che raccontano le città” Guida al vagabondaggio urbano consapevole di Vittorio Magnago Lampugnani - ed. Bollati Boringhieri)