È questo il principio guida di questa nuova rubrica aperiodica CATANZARO EXPERIENCE con la quale racconteremo il territorio in prima persona, focalizzandoci sul "sentire" e ispirando la partecipazione diffusa.
Il territorio di Catanzaro offre, sempre più, diverse occasioni di coinvolgimento attivo in molteplici settori (arte, cultura, food, turismo... ), bisogna solo selezionare con cura e partecipare.
Ci è sembrato che le performance proposte dalla rassegna "Sciò Il teatro, fuori" (ideata da Settimio Pisano e prodotta dalla Fondazione Politeama e dall'Accademia di Belle Arti di Catanzaro) fossero perfette per iniziare questo nuovo percorso. Potenti, coinvolgenti, dense di significato e dal respiro internazionale.
Nello specifico, CATANZARO EXPERIENCE inizia con il racconto di Anna Maria Palaia che ha partecipato a "Dear Laila"
SENTIRE - RACCONTARE - ISPIRARE
 
DEAR LAILA
“Cara Laila, hai cinque anni ora e hai cominciato a chiedermi dove sono cresciuto, e perché non possiamo andare lì. Questo sono io, che provo a darti una risposta”. Inizia così l’installazione interattiva “Dear Laila” a cura dell’artista Basel Zaara che apre la rassegna teatrale internazionale "Sciò! Il teatro, fuori", curata e ideata da Settimio Pisano e realizzata dalla Fondazione Politeama in co-produzione con l'Accademia di Belle Arti di Catanzaro.
Non ci sono attori, pubblico o grandi scenografie: una scrivania, un abat-jour, una piccola foto incorniciata e la grigia miniatura di un palazzo sono sufficienti per immergersi nella storia. Quindici minuti in solitaria nelle gallerie sotterranee del complesso monumentale del San Giovanni, location che suggestiona tutta l’esperienza.
Laila è la figlia di Zaara, a cui l’artista si rivolge con il linguaggio dell’arte performativa per rispondere alle richieste di conoscere le radici della sua giovinezza dolce amara, divisa tra memoria e identità. Ma Laila siamo anche noi, spettatori di una storia in cui entriamo a gamba tesa, fatta di suoni, lettere, fotografie, oggetti e rituali che in qualche modo, alla lontana, richiamano quelli che un tempo erano noti anche nella nostra cultura, rendendoci più facile il coinvolgimento emotivo ed empatico. A guidarci, dei cartoncini colorati e un walkman chiuso in un cassetto.
La dimensione in cui si viene catapultati è un intimo e domestico microcosmo inserito in un più tragico contesto, fatto di bombardamenti, guerre e dolore, ancora tristemente attuale.
“Chi scrive la sua storia eredita la terra delle parole e ne possiede completamente il significato”.
La storia inizia nel campo profughi di Yarmouk (abitato da 160 mila persone), a Damasco durante la Nakba del 1948, dove la nonna dell’artista, che viveva in un villaggio rurale di Haifa, si rifugiò in seguito ai violenti attacchi delle milizie israeliane, mentre il nonno rimase a combattere.
In una scatola un tasbih (simile al nostro rosario), una chiave, una boccetta con le spezie e gli odori della terra perduta sono piccoli testimoni del tempo e degli accadimenti.
Più avanti nel racconto, guidati dal walkman, scopriamo i segreti della casa: un corteo di ricordi che si espande in altezza con il passare degli anni e l’allargarsi della famiglia. Le tende, i panni stesi, il terrazzo, le antenne… tutto è testimone dello snodarsi delle vite dei suoi componenti tra matrimoni, nascite, ricorrenze, fino al 2011, quando all’esplosione del conflitto, Zaara fugge in Europa a causa degli attacchi israeliani al campo.
Un album di foto ci ricorda qual era il senso della vita prima dell’insensatezza della guerra. Sfogliarlo rende tangibile quella perduta felicità, ci coinvolge nelle vicissitudini narrate, facendoci specchiare negli occhi dei protagonisti immortalati eternamente dalla macchina fotografica.
E infine un invito, a Laila e a noi: portare con sé quella storia e il suo messaggio universale, in senso figurato certo, ma anche con un ricordo fisico, eco di un antico rimedio contro il male.
E insieme a Laila, ora anche noi sappiamo cosa vuol dire cercare le proprie radici nel labile confine tra memoria e dolore, perché finché una storia viene raccontata, nessun luogo è perduto per sempre.
Anna Maria Palaia per Catanzaro Experience