Ha lo sguardo di chi ha vissuto un’esistenza dalle luci accecanti e dalle emozioni profonde. Una donna vulcanica, coraggiosa, sognatrice. Esponente del pensiero di una generazione, quella degli anni sessanta, che cambiò la visione del mondo con il suo inno alla ribellione, alla trasgressione, all’anticonformismo, dove le aspirazioni alla libertà si univano all’amore per la vita.
Lei, Mita Medici, iconica interprete del cinema italiano, cantante, presentatrice e soprattutto “figlia dei fiori”, sarà la protagonista dell’iniziativa “C’era una volta il Piper”, ideata da Piergiorgio Caruso.
Durante l’appuntamento in programma oggi pomeriggio, venerdì 31 maggio alle ore 18:00, al Museo del Rock, Mita, conversando con il giornalista Franco Schipani, ripercorrerà uno dei decenni più memorabili del Novecento condividendo con il pubblico i ricordi di eventi, aneddoti, storie e incontri con personaggi come Patty Pravo, Loredana Bertè, Renato Zero, Gianni Boncompagni, Mia Martini, Carlo Verdone.
Sarà un viaggio esistenziale, nel tempo e nello spazio, che riporterà al luogo-simbolo di quell’epoca dove per Mita tutto è cominciato: il mitico Piper romano di via Tagliamento dove si parlava il linguaggio dei sogni, si andava a ballare, si incontravano giovani di ogni parte d’Italia e del mondo, in un coagulo unico di lingue, etnie, razze, culture, condizioni sociali e modi di vivere tenuti insieme dalla stessa condizione giovanile e dalla voglia spasmodica di libertà e di futuro.
“Il Piper è stato un posto illuminante per me. Quando sono entrata lì per la prima volta è come se avessi varcato la soglia della mia vera casa. Era un posto dove stavo bene perché ho trovato tanti ragazzi e ragazze che mi assomigliavano, che avevano lo stesso spirito, le stesse idee. È stato un momento magico” ci racconta Mita Medici poco prima dell’incontro ospitato dalla coloratissima e originale struttura di Via Alessandro Turco che custodisce una preziosa collezione discografica (oltre 10mila vinili), di manifesti e riviste d’epoca del rock degli anni Cinquanta e Sessanta.
Di quel capitolo della sua vita datato 1965, Mita Medici ci consegna altri frammenti di memoria con rimandi evocativi tra la vita privata di artista e la vita pubblica della sua generazione dove tutto oscilla tra divertimento e impegno, cultura e politica, arte e società: “Al Piper ho imparato a stare insieme alle persone, ognuno era diverso dall’altro ma riusciamo a stare bene insieme. Avevamo lo stesso obiettivo, qualcosa che ci accomunava. Noi sentivamo di essere individui, ognuno con la propria personalità, desideri, sogni ma avevamo voglia di condividere, di capire chi ci assomigliava e chi era diverso. Eravamo alimentati da una grande curiosità che diventava la chiave per aprire strade al presente e al futuro”.
Qualcosa è rimasto di quei tempi che hanno segnato un punto di non ritorno: “Oggi dovremmo valorizzare la storia collettiva per continuare un’evoluzione. Un processo che al momento sembra essersi arrestato. Si rischia di regredire se si mettono in discussione i diritti conquistati in quegli anni” aggiunge Mita che invita i giovani di oggi a trovare nel passato gli spunti per lanciare esche per il futuro: “Eravamo aperti di mente, cuore e anima. Scendevamo in piazza conto la guerra in Vietnam perché credevamo in degli ideali e non accettavamo di farci manipolare da nessun potere. Anche i giovani di oggi stanno protestando contro la guerra e mi auguro che lo stiano facendo nella loro piena autonomia. È importante scegliere sempre con la propria testa”.
Mita ha esordito giovanissima: aveva 16 anni quando fu scritturata per il primo film “Estate” con Enrico Maria Salerno e l’anno prima aveva vinto il concorso di Miss Teenager Italiana al Piper Club: “Avevo già chiaro in testa quello che volevo fare. La mia attitudine a recitare l’avevo espressa fin da piccola quando mi travestivo e raccontavo le storie ai miei familiari. Quando il regista Paolo Spinola mi notò al Piper e mi formulò la proposta, lo ascoltai con attenzione però a primo impatto rifiutai perché avevo troppo da fare: c’era la scuola, il Piper, gli amici, la musica. Alla fine sono stata la protagonista di quel film perché mi sono sentita coinvolta pienamente in una nuova avventura sia perché avevano spostato le date per girare al termine del mio anno scolastico, sia perché mi hanno dato la possibilità di collaborare alla sceneggiatura. Ebbi l’incoscienza e il coraggio di dire che le parole e i dialoghi della ragazza non era il nostro linguaggio. Si vedeva che chi aveva scritto era un adulto che non conosceva il nostro mondo che invece si stava dando un’identità molto precisa”.
Ha conosciuto Jim Morrison, il cantante dei Doors, ma non sapeva neppure chi fosse: “Nel 1965, dopo avere vinto il concorso di Miss teenager, rappresentai il nostro paese a Los Angeles, in quel periodo la disciplina nei concorsi era molto severa, quasi come in caserma. Una sera ebbi l’occasione di sgattaiolare fuori dall’albergo per vedere un po’ la città, la mia attenzione fu catturata da un sound originalissimo, si trattava dei Doors di Jim Morrison, in uno dei loro primi concerti. Mi ricordo ancora l’effetto che mi fecero quelle canzoni e il delirio della gente che le ascoltava in un grande parco”.
Ascoltando le sue parole viene da pensare che la sua carriera, intensa e piena di soddisfazioni, sia sempre stata avvolta da un’aura di magia, di occasioni che l’hanno scelta, di incontri che l’hanno cercata: “È vero che sono stata travolta da questo mondo ma ho affrontato tutto in maniera sempre molto consapevole. Questo anche per l’educazione che ho ricevuto provenendo da una famiglia anticonformista, ero preparata al mondo, al desiderio di voler sapere. La vita non l’ho calcolata mai. Ho scelto sempre un po’ per istinto, non mi fermavo se qualcosa o qualcuno mi dava fiducia”.
C’è grande energia nelle sue parole e un irrefrenabile desiderio di stupirsi ancora: “Non vivo di ricordi e non provo nostalgia, ma continuo ad avere qualcosa in cui credere. Continuo a pensare a ciò che posso fare per cambiare il mondo perché tutti possiamo farlo nel nostro piccolo. Non bisogna rassegnarsi mai. Ci si rassegna solo sulle cose che sono veramente impossibili ma molte cose che dipendono da noi possiamo cambiarle. Anche a livello politico e sociale si può cambiare rotta. L’esistenza individuale e collettiva è nelle nostre mani. Anche adesso che il panorama non è esaltante, bisogna continuare ad andare alla ricerca di qualcosa che possa fare la differenza”.
Questa donna è talento, coraggio, bellezza senza tempo, ed è soprattutto libertà: “A me piace il viaggio, non l’arrivo. Ho scelto questa strada e continuo a percorrerla. Porto dentro le persone che incontro ma non mi fermo. Questo richiede responsabilità e attenzione per gli altri. Comporta fare i conti con la solitudine che bisogna saper apprezzare e di cui bisogna comprendere il valore”.
L’ex ragazza del Piper ha ancora tante cose da raccontare al pubblico di Catanzaro alla riscoperta dell’incantato mondo del beat italiano e non solo. Un pezzo di storia che sente il dovere di condividere al punto che dopo lo spettacolo teatrale “Sono una figlia dei fiori” (creato con la coautrice Stefania Moro), sta lavorando alla stesura di un racconto che dovrebbe diventare un libro che vuole essere non solo un’autobiografia dell’artista ma anche una preziosa testimonianza di un'epoca importante della storia della musica e della società.